da Beatriz Lauenroth | Ott 23, 2019 | Esperienze, riflessioni ed interviste, News
Preparare il terreno alla riconciliazione.
Walter Kriechbaum è pastore evangelico e segretario di YMCA a Monaco di Baviera. Il suo cuore batte per l’Europa e vuole vivere la riconciliazione. Per questo coltiva amicizie anche in Polonia e Ucraina nella rete internazionale ed ecumenica Insieme per l’Europa.
“Come tedesco, incontro spesso le crudeltà della storia durante i miei viaggi nell’Europa dell’Est. Una volta mi sono trovato, insieme ad amici polacchi, senza parole a Lutsk/Ucraina, nei luoghi di commemorazione delle migliaia di polacchi che furono crudelmente assassinati e un’altra volta in un cimitero in mezzo a uno dei più grandi campi di battaglia della seconda guerra mondiale. Improvvisamente i miei amici mi hanno chiesto di pregare come tedesco e come membro della Chiesa evangelica sui morti, per chiedere perdono e pace per i nostri popoli d’Europa”. Walter Kriechbaum ha sperimentato che vivere insieme la riconciliazione può significare, tra le altre cose, percorrere la via dell’afflizione con gli altri, facendo proprio il dolore altrui. Riconciliazione ecumenica significa prestare attenzione ai doni degli altri e creare spazio per il loro sviluppo. Il dolore per l’unità non ancora completa, dice Walter, sembra essere qualcosa come il seme per il futuro.
La riconciliazione non richiede una rappresentanza proporzionale
Monaco 2016: durante una preghiera ecumenica per l’unità dell’Europa, che polacchi e tedeschi avevano preparato insieme, 20 russi entrano inaspettatamente nella chiesa. Walter, che presiede la preghiera insieme ad un amico polacco, per un attimo non sa come affrontare la nuova situazione. Poi chiede ad una partecipante del gruppo russo di farsi avanti e dare il suo contributo alla preghiera. Cattolici, protestanti, membri di Chiese libere e ortodossi russi ricevono infine la benedizione da un sacerdote polacco del Movimento di Schoenstatt. Walter: “Ho imparato che la riconciliazione ecumenica non domanda né la proporzionalità, né riconoscere chi ha ragione. Gesù Cristo abita nel cuore dell’altro e in modo sorprendente fa sì che la diversità diventi un complemento, senza essere cancellata.”
La riconciliazione ha bisogno di fiducia
Durante i suoi numerosi viaggi attraverso l’Europa dell’Est, Walter continua a costruire una rete di amicizie: “Ma questo richiede pazienza e perseveranza. Spesso ci vogliono anni perché la sfiducia scompaia. Ho capito che l’esperienza ecumenica “di confine” significa sentirsi vicini e lontani allo stesso tempo e sopportare la tensione. Rivolgendo tutti lo sguardo a Gesù, si sviluppa lentamente una vicinanza interiore. Non può essere forzata, ma è opera di Dio”. La fiducia reciproca che ne deriva fa sì che si possa parlare e crea una libertà interiore, riferisce Walter.
La riconciliazione richiede di essere distaccati
“La riconciliazione e la concordia ecumenica non possono essere organizzate”, dice Walter. “Dobbiamo essere staccati ogni volta ed entrare sempre di nuovo nel Kairos di Dio. Solo Lui conosce il momento giusto”. Ma sicuramente si può aprire la strada a questo. “Insieme riusciremo a far risplendere l’Europa. Il suo splendore è la sua gente che è in cammino verso la riconciliazione.” Walter ne è convinto e vive per questo – ogni giorno di nuovo.
A cura di Beatriz Lauenroth
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da TogetherforEurope | Gen 22, 2019 | 2018 Amici Praga, Esperienze, riflessioni ed interviste, News
Intervento di Pavel Fischer, senatore, Republica Ceca, all’incontro degli Amici di Insieme per l’Europa, Praga 16/11/2018. – “LE TRE SFIDE”
Cari amici,
siete convenuti a Praga per lavorare insieme, riflettendo sul tema come vivere e come impegnarsi “Insieme per l’Europa“. In quale Paese venite? E in quale stato si trova oggi l’Europa, a cento anni dal fine della Prima Guerra Mondiale? Siete venuti nella Repubblica Ceca, in un Paese che cento anni fa ha dichiarato la Repubblica.
Durante le celebrazioni di questo anniversario sono rimasto colpito dalle idee del Presidente della Corte costituzionale. Si tratta dell’istituzione il cui compito è quello di assicurare che nel Paese siano osservate le regole più basilari. Il suo Presidente, Pavel Rychetský, ha cercato di diagnosticare lo stato della società di oggi. Lasciatemi parafrasare liberamente la sua tesi di base.
A suo avviso, la globalizzazione ha approfondito la sensazione di solitudine e di disperazione delle persone. Le persone sentono che si stanno perdendo nel mondo globale. I contorni della loro identità si sciolgono, loro entrano in ansia e paura. Proprio la paura è diventata un terreno fertile per coloro che offrono l’immagine di un nemico. Il nemico può essere un vicino più ricco, un immigrato, una persona di diverso colore della pelle. Da noi, a volte, il colpevole è indicato addirittura nell’Unione Europea stessa. Nella loro disperazione le persone ora cercano il cambiamento e, soprattutto, un messia, perché la rappresentanza politica tradizionale non le rappresenta più efficacemente. È possibile interrompere questo sviluppo tossico? E come correggere un sistema distorto di valori?
Il Presidente della Corte costituzionale vede la speranza in un maggior grado di emancipazione della società civile, risvegliando la sua fiducia in sé stessa e ripristinando il principio di sovranità del cittadino. Un cittadino che sa affermarsi, perché la rappresentanza politica deve servire il bene comune o deve andarsene.
Sto rileggendo i concetti chiave usati nel suo discorso: solitudine, disperazione, identità, paura, nemico, bene comune, fiducia in sé stessi, cittadino sovrano. In ognuno di essi possiamo trovare una dimensione spirituale, vista alla luce della migliore eredità del pensiero europeo, basato sulla saggezza degli studiosi ebrei, dei mistici cristiani e dei pensatori razionali; questa dimensione spirituale potrebbe metterli in una luce diversa.
La diagnosi della società di oggi, vista così, ha un grande valore di comunicazione. Ma credo che possiamo vedere tutti questi fenomeni anche alla luce della speranza; e che noi stessi possiamo provare a fare qualcosa. Quindi dove dovremmo iniziare? Cosa fare per primo e cosa lasciar stare? Lasciatemi brevemente dedicare l’attenzione alle tre sfide che vediamo nell’Europa di oggi.
La prima sfida: le emozioni
L’uomo è fatto per provare emozioni. E non solo separatamente, ma per vivere emotivamente con gli altri. Quindi, anche se possiamo ripeterci insieme che una persona è una creatura ragionevole e razionale, alla fine vedremo su un certo numero di esempi quanto spesso ci comportiamo in modo non razionale. E questa è davvero una buona cosa. Per capire alcune situazioni della politica europea, dobbiamo ammettere che proprio le emozioni sono cruciali. Ricordiamoci soltanto della lotta per risolvere la crisi della Eurozona, che si è mostrata nello sforzo di fare il bilancio dello Stato della Grecia in una condizione economicamente critica.
Partendo dal fatto che l’uomo non è solo un homo economicus, non è solo un consumatore o un attore di mercato, ma anche un cittadino dotato dalla propria dignità e libertà, la lotta condotta durante la cosiddetta crisi greca è stata molto significativa.
Mentre i cittadini dovevano stringere la cinghia e non avevano testualmente soldi da risparmiare, alcune banche sono riuscite a salvaguardare i loro guadagni relativamente bene durante l’intera crisi. Mentre Bruxelles doveva prendere le misure di austerità, i cittadini in Grecia hanno visto questo come sfregare il sale sulle loro ferite. Le emozioni si sono scatenate, l’insoddisfazione si è rivolta contro il governo, contro la Commissione Europea o contro i banchieri. Ed anche, per esempio, contro la Germania, e perfino contro la stessa cancelliera Angela Merkel.
Questa atmosfera intensamente emotiva è stata vissuta principalmente dai Greci tra di loro. In termini linguistici era inaccessibile agli altri. Culturalmente era basata sulla loro storia, sulle immagini storiche, e così agli altri in Europa spesso mancavano non solo gli strumenti per la comprensione dei greci e per simpatizzare con loro, ma anche per cercare di capirli e aiutarli in qualche modo: forse, retrospettivamente, avremmo potuto offrire vacanze ai bambini della Grecia nelle nostre case. Così avremmo dato un momento di riposo ai loro genitori, e avremmo creato collegamenti che avrebbero avuto senso anche nel futuro. Allo stesso modo, potremmo ricordare le emozioni vissute dai cittadini di altri Stati membri dell’UE. E’ come se le nostre lotte politiche e sociali rimanessero limitate al territorio in cui si parla la nostra madrelingua. C’è una mancanza di mezzi di comunicazione forti, una mancanza di mediatori e noi con le nostre emozioni rimaniamo un po’ troppo da soli.
E tuttavia, sono convinto che né il miglior giornalista, nemmeno il diplomatico più ambizioso e neanche il politico più interessante, riescono facilmente a trasmettere le sofferenze, le paure o al contrario le speranze e le aspettative che sperimentiamo nelle nostre comunità linguistiche. Infatti, è vero che, se abbiamo una madrelingua comune, possiamo comprenderci molto rapidamente.
Quando ero più giovane, ho suonato il violino e ho viaggiato per molti anni con un’orchestra in Europa. Questa esperienza come musicista l’ho sempre davanti agli occhi. Ancora oggi devo ammettere che musicisti possono essere migliori mediatori tra i nostri popoli che i migliori discorsi politici. L’arte, infatti, lavora mano nella mano con le emozioni, con le immagini ed espressioni, per le quali spesso non abbiamo neanche le parole.
E così il tempo di oggi ha bisogno non solo di nuove istituzioni, ma anche di artisti che ci possano comunicare le questioni che forse stanno alzando la testa solo ora, ma che tuttavia preoccupano con urgenza le menti delle persone e causano loro preoccupazioni. L’artista può sfuggire alla trappola dei traduttori. Gli artisti possono lavorare con ciò che altrimenti sarebbe censurato da chi controlla che le parole siano politicamente corrette.
Guardando indietro ai tristi frutti della grande crisi iniziata nelle banche statunitensi nel 2008, vediamo quante volte dovevano essere tagliati anche i bilanci delle istituzioni culturali.
Ma se il mondo in cui viviamo oggi è così emotivamente sconcertante o inquietante, forse ora è il momento di fare l’esatto contrario: restituire all’arte lo spazio pubblico; aiutare il pubblico a parlare con gli artisti, perché loro aiutino la gente a capire quello che si sta vivendo; e offrire ai bambini le chiavi per capire l’arte. Altrimenti ognuno di noi rimarrà un po’ solo con le sue emozioni, tenendole dentro sé. O tutti rimarranno un po’ soli, se stiamo parlando dell’atmosfera nel Paese nel suo complesso.
La seconda sfida: cittadino o consumatore
Prima o poi dobbiamo chiederci: che cosa intendiamo con il termine “essere umano”? Se lo intendiamo come attore dell’economia, come partecipe al mercato, come consumatore o come cittadino. La cooperazione europea fin dall’inizio ha posto l’accento sulla cooperazione nell’economia, e questa è stata certamente la cosa più efficace e ragionevole da fare. All’epoca ha aiutato a stabilire processi collaborativi, senza dover parlare di alcuni problemi o addirittura averli decisi tramite referendum. Il metodo del fondatore dell’integrazione europea era basato sull’esperienza di vita. Il francese Jean Monet, che ha lavorato a Londra durante la guerra, ha visto con i suoi occhi l’incapacità degli alleati di coordinare l’approvvigionamento delle loro truppe.
L’enfasi sull’economia, però, può essere osservata non solo all’interno dell’UE di oggi, ma anche nei nostri singoli Paesi. Ma ancora una volta dobbiamo chiederci che cosa intendiamo per “essere umano”. Se lo comprendiamo come consumatore, il nostro obiettivo sarà quello di raggiungere la massima qualità ad un prezzo accessibile. Ma l’essere umano possiamo capirlo anche in modo diverso.
Possiamo capirlo come un essere dotato di dignità, come essere libero, come persona con responsabilità individuale che ha bisogno di creare relazioni con altri. Un uomo libero e indipendente che, però, vive da solo non può essere il nostro ideale. D’altronde, la solitudine è uno dei fenomeni odierni che indebolisce enormemente la nostra società. La solitudine significa povertà di relazioni. E ce n’è molta in giro. Se gli individui rimangono soli, possono anche essere vittime di una varietà di predatori, sia dal punto di vista dell’informazione che della disinformazione, sia da predatori economici che vendono loro qualcosa di cui non hanno bisogno.
Senza solidarietà, senza esperienza di comunità, senza compagnia, non si può essere felici. E a livello di società possiamo vedere che sono le società capaci di vivere insieme, impegnate nel dialogo, che si uniscono per trovare soluzioni ai problemi e, a livello locale, creare relazioni di aiuto, di solidarietà e reciprocità. Una tale società è anche più resistente. Di fronte a una minaccia, le persone possono aiutarsi vicendevolmente, trovare il loro posto, fornire assistenza ai più bisognosi.
Ma non permetteremo di essere ingannati. Siamo stati a questo bivio molte altre volte, e non solo durante le elezioni. L’economia è della massima importanza per la gestione dei nostri Paesi. Senza macroeconomisti ragionevoli e responsabili non costruiremo il bilancio dello Stato. Ma chiediamoci anche come coloro che vogliono prendere una decisione capiscono la persona. La si può capire come un consumatore, quindi monouso fino alle prossime elezioni. Ma, al contrario, può essere accettata come socio, come compagno di squadra, come cittadino. È quel tipo di politico che dobbiamo valorizzare e ai quali dobbiamo dare la nostra fiducia.
La terza sfida: comunità o folla
La terza sfida che vediamo oggi nelle nostre società è l’espansione dei social network…. [continua]
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da TogetherforEurope | Gen 17, 2019 | 2018 Amici Praga, Esperienze, riflessioni ed interviste, News
Intervento di Jaroslav Šebek, Storico, Repubblica Ceca, all’incontro degli Amici di Insieme per l’Europa, Praga-Vinor, 16.11.2018 – “Le Chiese nella Repubblica Ceca e le sfide dell’oggi turbolento”
Gli avvenimenti dell’autunno del 1989 e la disintegrazione del regime totalitario comunista nella Repubblica Cecoslovacca hanno aperto dopo più di 40 anni un vasto campo d’azione per l’operare delle Chiese e dei cristiani in genere. Questo non ha portato solo dei grandi cambiamenti positivi e nuove possibilità, ma anche problemi e sfide ad essi collegati. Dopo “l’anno miracoloso” del 1989 le Chiese cristiane sono entrate nelle nuove costellazioni politiche con un credito morale grandissimo. Questa valutazione positiva derivava dal ruolo che le Chiese cristiane avevano giocato durante il periodo del regime comunista. Da un lato esse erano state sottoposte ad un’atroce persecuzione e dall’altro erano un’alternativa plausibile all’ideologia marxista imperante.
Inoltre, ciò che dopo l’anno 1989 si può definire come in buona parte riuscito è lo sviluppo dei contatti ecumenici. Così, per esempio, le divisioni riguardanti Giovanni Hus venivano superate. Durante un simposio tenutosi nel 1999 a Roma, rappresentanti delle Chiese ed esperti delle confessioni e del mondo secolare hanno dato una valutazione obiettiva dell’eredità di Giovanni Hus. Durante quel simposio, in occasione dell’apertura dell’Anno Santo del 2000, l’allora Papa Giovanni Paolo II (1920-2005) aveva chiesto pure perdono per le sofferenze inflitte al riformatore Hus, che nel 1415 era stato condannato e bruciato vivo durante il Concilio di Costanza, e per quelle inflitte ai suoi seguaci. Il Papa aveva detto testualmente: „Oggi, alla soglia del grande Anno Giubilare, mi sento in obbligo di esprimere il mio sentimento di profondo rammarico per la crudele morte di M. Giovanni Hus e per la conseguente ferita, fonte di conflitti e di divisioni, inflitta allo spirito ed ai cuori del popolo della Boemia“.
Anche la dichiarazione congiunta da parte dell’allora Arcivescovo di Praga, il Cardinale Miloslav Vlk (1932-2017) e di Pavel Smetana (1937-2018), Moderatore della Chiesa Evangelica dei Fratelli boemi all’inizio di gennaio dell’anno 2000, rispecchia aspetti ecumenici di riflessione e di ulteriore studio del significato del Maestro Giovanni Hus per i cristiani della Repubblica Ceca. Il simposio a Roma è stato anche un ulteriore contributo per trovare delle visioni comuni sul significato della persona di Hus. Ha pure contribuito ad un avvicinamento oltre i confini confessionali. Tutto questo ha reso possibile una preparazione comune coordinata del 600esimo anniversario della morte di Giovanni Hus nell’anno 2015.
Durante il periodo relativamente breve di alcune decine di anni, sono cambiati i punti di vista sul significato di Giovanni Hus. È diminuito il potenziale di conflitto e di impossibilità di riconciliazione. La commemorazione ecumenica del patrimonio del Maestro Giovanni Hus il 15 giugno 2015 in Vaticano ne era ultimamente una conferma. Momento culmine era certamente l’incontro con Papa Francesco. Accanto al Cardinale Miloslav Vlk vi hanno partecipato anche i rappresentanti più alti delle Chiese non-cattoliche più numerose: Il Moderatore della Chiesa Evangelica dei Fratelli della Boemia Joel Ruml (*1953) ed il Patriarca della Chiesa Ussita della Cecoslovacchia Tomáš Butta (*1958). Nel suo discorso per la Delegazione ceca il Papa dichiarava che molte controversie del passato devono essere rivalutate nel nuovo contesto in cui viviamo. Alla luce di questo approccio diviene, inoltre, necessario studiare, liberi da ogni ideologia, la persona ed il lavoro di Giovanni Hus, colui che per tanto tempo è stato oggetto di disputa tra i cristiani, mentre oggi è diventato un movente per il dialogo. L’accento posto da Papa Francesco era molto significativo: durante l’incontro, infatti, ha sottolineato la necessità di una collaborazione che ci unisce. Ha pure espresso un significativo andare incontro alle richieste delle Chiese non cattoliche.
Ma dopo la svolta politica, nell’ambito ecclesiale sono sorte anche le grosse questioni conflittuali. Poco dopo la rivoluzione è rinata l’immagine del cattolicesimo come nemico del progresso e del patriottismo. Era l’immagine rimasta nella memoria collettiva ceca attraverso le opere della letteratura liberale nazionale dell’800; immagine nutrita durante la Prima Repubblica e poi, logicamente, dalla propaganda comunista. E così, passo dopo passo, l’autorità della Chiesa Cattolica nell’ambito pubblico ceco è calata molto rapidamente, il che rimane anche oggi un tratto caratteristico. Uno degli elementi che distingue la Repubblica Ceca dagli altri Paesi post-comunisti dell’Europa Centrale, specialmente Polonia e Ungheria, è proprio il rapporto della società civile con la Chiesa Cattolica. Ma vi sono alcune tendenze di sviluppo comuni. Gli Stati e le società civili dell’ex-blocco sovietico sono confrontati con dei problemi simili ed allo stesso tempo con delle sfide rispetto al passaggio verso sistemi non autoritari: in pratica, con le conseguenze economiche della loro trasformazione, con la costruzione di una nuova cultura politica ed in generale con la creazione di un ambito per il discorso democratico.
Una caratteristica comune degli stati post-comunisti nell’Europa Centrale è anche la decrescente attrattiva dell’appartenenza all’Unione Europea. Dopo la caduta della Cortina di ferro nel 1989 in tutto il blocco socialista, come anche da noi, la maggioranza della popolazione chiedeva spontaneamente di “ritornare in Europa”. Il motivo allettante era il sogno del benessere dell’Occidente, dello stesso standard di vita che vedevamo oltre i nostri confini. La crisi dei rifugiati, però, ha presentato poi un banco di prova fondamentale per il futuro dell’integrazione europea, su cui si scontrano idee diverse e di nuovo si fronteggiano simbolicamente l’Est contro l’Ovest. La crisi dei rifugiati non significa soltanto rischi crescenti per l’economia e la sicurezza, ma apre anche la tematica della difesa dei valori cristiani, e questo soprattutto nell’Est post-comunista.
Ora, il caso della Repubblica Ceca risulta particolarmente interessante. Anche in questo Paese fortemente scristianizzato si è cominciato a parlare di radici cristiane, certamente però soprattutto in forma ideologica. Ma quelli che parlano del dovere di annunciare e di promuovere valori cristiani ed europei non sanno neanche esattamente quali siano quei valori di cui parlano o non li definiscono. La fede nella Repubblica Ceca si è molto allentata e perciò siamo piuttosto di fronte ad un’ideologia dal titolo “promuovere il cristianesimo”, ideologia motivata dalla paura dall’influsso dell’Islam e di altre culture. Tipico degli ambiti ecclesiali rispetto alla presa di posizione sulla questione dei profughi è un’ambiguità tra la solidarietà e la paura chiaramente espressa delle conseguenze culturali. Una delle ragioni più generali di questa crisi è la mancanza di chiare visioni ideali. L’Unione Europea di oggi non si fida più tanto della forza di convinzione delle idee, ma di soluzioni puramente tecnocratiche. La poca autorità dell’Unione Europea viene spesso – ed a ragione – messa in relazione alla poca credibilità dei suoi principali rappresentanti ed alla loro incapacità di fare una forte riflessione ideale sui problemi. Ma nella società ceca esistono ulteriori sfide che secondo me richiedono anche delle risposte cristiane ai segni dei tempi.
Nell’ultima generazione, “l’ira fluida” di una parte della società ed il rifiuto delle élites sociali ha trovato un nuovo mezzo: le reti sociali in internet. Lì, quanti sono frustrati e pieni di ira possono gridare in modo anonimo la loro malizia e rafforzarsi reciprocamente nella loro visione negativa del mondo. In queste acque sporche non sono solo i populisti cechi a pescare i loro seguaci; il loro “momento magico” è venuto negli ultimi anni con la crisi dei rifugiati. Spesso i populisti hanno saputo trasformare i timori comprensibili in un’isteria di paure e di odio e di presentarsi poi come salvatori. Incapsularsi in una sfera propria di comunicazione con le possibilità delle reti sociali, ecco uno dei problemi della nostra epoca. Con ciò nascono aree di filtraggio a sé stanti che non comunicano tra di loro, ma solo all’interno di ogni area; comunità che condividono tra loro uno sguardo stupido o cospirativo sul mondo e vengono perciò facilmente manipolate, perché in preda ad una diffusa propaganda camuffata come verità. Mentre durante il comunismo esisteva da noi un deserto nel campo dell’informazione, oggi ci muoviamo in una giungla dell’informazione. Ma il risultato è lo stesso: perdita di orientamento e maggiore facilità ad essere manipolati, come anche sfiducia verso tutti e verso tutto. Le persone, inoltre, si uniscono virtualmente in piccole comunità con la stessa, condivisa visione del mondo, ma non comunicano più con altri gruppi e vivono – per dirla in modo esagerato – in mondi paralleli.
Nella situazione attuale vediamo un accelerato disfacimento delle certezze che esistevano finora e delle relazioni interpersonali; costatiamo anche un chiudersi in “ghetti di comunicazione”, al quale si accompagna un senso crescente di paura e un tono aggressivo delle discussioni. Questi fattori diventano a loro volta dei catalizzatori di ulteriori opinioni divisorie nella società. In questa situazione diventa quasi un’esigenza esistenziale mettersi alla ricerca di interessi comuni da articolare insieme, sottolineando però l’intero contesto europeo. Ciò è particolarmente importante oggi, dove sembra che tutto il progetto dell’integrazione europea e della creazione di modelli formativi su valori comuni condivisi sia in pericolo. Nella maggioranza dei Paesi del “Vecchio Continente” sono soprattutto le conseguenze della crisi delle migrazioni e della crisi culturale ad essa collegata a favorire il successo di movimenti nazionali populisti.
Secondo me, la forza del populismo dipende da una mancanza di fede nella nostra società. Con il termine “fede” voglio dire qualcosa di molto più profondo che solo il fatto di condividere dei dogmi o frequentare le funzioni religiose. Penso alla fede come orientamento per la vita. Fede viva è terapia contro la paura. Dove c’è poca fede, lì c’é tanta paura; e dove c’è tanta paura, lì si vedono tanta cecità spirituale e tanta aggressività. E dove c’è cecità spirituale ed aggressività, lì vincono i demagoghi. Loro potenziano questa paura, abusano di questa cecità e cercano delle vittime per “l’ira fluida” che esplode. Una volta queste vittime erano gli ebrei, poi i tedeschi, poi sotto il regime comunista i contadini ed i piccoli imprenditori, oggi sono i migranti ed i musulmani. Dopo aver fortemente fomentato la paura e la sensazione di essere minacciati, il populista si offre come salvatore. Allora pare interessante che anche la Chiesa cattolica ed i suoi rappresentanti facciano fatica a trovare orientamento in questa nostra società ceca così divisa. I rappresentanti della Chiesa non trovano neanche una parola chiara da dire sulla nostra appartenenza all’Unione Europea. Criticano soprattutto le cosiddette tendenze neo-marxiste nell’ambito del gender ed il profilo culturale poco sviluppato dell’Europa. Per questo, alcuni vescovi seguono quei politici che – come già detto – a parole confessano valori cristiani, ma di fatto li usano soltanto come parte del loro apparato ideologico. Allora il cristianesimo viene usato soltanto come ideologia e non è in nessun modo parte dell’identità spirituale. In questo tanti porporati nella Repubblica Ceca si differenziano da Papa Francesco, e così i fedeli sono divisi nella loro valutazione del Papa attuale. In confronto con i suoi predecessori, Francesco rappresenta una svolta nel senso che le sue parole suonano credibili e sono un segno della sua generale apertura. I suoi gesti in pubblico – lavare i piedi ai migranti, rinunciare al lusso ed alla pompa sfarzosa – sono la testimonianza di voler cambiare l’immagine del papato e di essere vicino alla “gente normale”. Ciò logicamente aumenta ancora la polarizzazione di come viene percepito nelle proprie file. Nella Chiesa evangelica troviamo una riflessione molto più elaborata dei problemi attuali della società ceca che nella Chiesa cattolica. Lo si vede, per esempio, considerando il recente dibattito sull’eventuale accoglienza di orfani siriani, in cui il Cardinale Duka ha seguito la linea decisa dalla politica, a differenza dei suoi colleghi di spicco della Chiesa evangelica.
Nella lotta contro populismo, paura e pregiudizi e contro l’arroganza di un potere amorale, ci vuole per noi la fede, che riflette i valori etici e umani di base. Il cuore della fede sta in quello che il Vangelo chiama metanoia, cioè la conversione dalla superficialità, dall’essere confusi per lo strepito della propaganda per orientarsi verso la profondità, l’interiorità, verso il tempio della coscienza. Tutto ciò possibilmente combinato con uno sguardo razionale sulle cose. Nell’odierna atmosfera sociale irrequieta le Chiese dovrebbero avere un ruolo importante per migliorare la situazione, in stretta collaborazione con la società civile in tutta l’Europa.
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