Studiare, vivere, insegnare la storia

Studiare, vivere, insegnare la storia

9 novembre 1989, data indimenticabile della storia recente: crolla il muro di Berlino. Quella sera anch’io mi trovo incollata davanti alla televisione per seguire un evento inaspettato e di cui forse tanti, soprattutto noi giovani, non coglievamo assolutamente la portata.

Sì, certo, avevo studiato a scuola e all’università, laureandomi proprio in storia moderna, gli anni della Guerra fredda e la costruzione di quella cortina di ferro che ora, in quei giorni di novembre, si stava sbriciolando inesorabilmente. Da lì a pochi mesi avremmo conosciuto dai giornali e dai dossier approfonditi la storia dei popoli della Cecoslovacchia, dell’Ungheria, della Polonia, della Romania, i quali, con rivoluzioni più o meno pacifiche, si liberavano dal giogo settantennale dell’Unione Sovietica.

Non avrei, però, mai immaginato, il 9 novembre, che i racconti e le immagini riportate dai media si sarebbero trasformati per me in vita, in persone in carne e ossa che stavo per incontrare sulla mia strada. Era passato, infatti, solo un mese e mezzo e scendevo, alla stazione Keleti di Budapest, da un treno che da Roma, attraversando Slovenia e Croazia, mi aveva portato in Ungheria. Mi avevano, infatti, offerto un posto di insegnante di italiano e storia in un liceo della capitale. Quella sera di dicembre, nell’atmosfera fumosa dello scalo ferroviario, un gruppetto sparuto di persone ad accogliermi, larghi sorrisi e un mazzetto di fiori. Quale contrasto con la scena che mi attendeva sul piazzale: alcuni grossi camion vomitavano sul selciato decine di soldati sovietici. Sì, questo fu il mio primo impatto con un Paese dell’Est: persone normali, che riconobbi subito come di famiglia, immerse in un’atmosfera grigia e sospettosa, con i chiari segni di un “controllo” ancora in atto, pur essendo stata proclamata nell’ottobre 1989 la nascita della Repubblica di Ungheria (dovevano passare, però, un paio d’anni perché l’ultimo militare con la stella rossa sul berretto lasciasse il Paese per sempre).

I primi mesi di “libertà” costituivano una fase di transizione, sia in ambito politico sia sociale: mentre il governo democratico compiva i primi passi e doveva persino fare i conti con gli scioperi (!), i negozi lentamente presentavano una varietà di prodotti, qualcuno proveniente dall’estero. La vita quotidiana era ancora complicata, almeno per me occidentale. A casa stilavo un certo menù, un altro paio di maniche era poi trovare gli ingredienti al mercato! Un giorno, nel 1990, i tassisti e gli autotrasportatori bloccarono tutti i ponti sul Danubio per protestare contro il rincaro della benzina. Subito si formarono file interminabili per comprare il pane e i piccoli empori furono svuotati di tutto. «È come nel ’56» – sentii dire da qualcuno al mercato, sottintendendo: quando mancava il pane. In fondo la gente non riusciva ancora a credere che il peggio fosse veramente passato.

Che qui si trattasse di tutta “un’altra storia” mi divenne ancora più chiaro quando cominciai a insegnare. Non solo non avevo i libri di testo, perché quelli esistenti riportavano una versione dei fatti vista dall’occhio… di Mosca e dell’ideologia della lotta di classe. Ma mi trovavo a spiegare ai miei innocenti studenti cose per me ovvie. L’episodio più lampante lo vissi alla vigilia di Natale del 1990. Per fare conversazione in italiano, si stava parlando delle varie tradizioni natalizie del Bel Paese. Naturalmente spesi parole entusiastiche sulle rappresentazioni della Natività e sul presepe, centro di ogni famiglia italiana in quei giorni. Parlavo da più di mezz’ora, quando una brunetta, dagli ultimi banchi, alzò la mano e mi chiese: «Professoressa, ma chi è Gesù?».

di Maria Bruna Romito (altro…)

Il gruppo di coordinamento svizzero e “il fratello” Nicola da Flüe

Il gruppo di coordinamento svizzero e “il fratello” Nicola da Flüe

500 anni Riforma e 600 anni Nicola da Flüe – cosa hanno da dirci oggi queste due commemorazioni? 260 aderenti alla rete svizzera di Insieme per l’Europa, provenienti da diverse Chiese, si sono incontrati per rispondere a questo interrogativo il 9 settembre scorso nella sala polivalente a Flüeli-Ranft, dove ha vissuto “fratello Nicola”.

“Quale significato hanno la vita e l’opera di Nicola da Flüe per noi personalmente, per le nostre Chiese, per le nostre Comunità e per la nostra rete di Insieme per l’Europa?” – questa la domanda al centro del convegno.

I partecipanti giunti da ogni parte della Svizzera rappresentavano circa 30 Movimenti e Comunità cristiane. Fin dall’inizio era chiaro che l’incontro e lo scambio era l’aspettativa di fondo. In brevissimo tempo si sono formati nella grande sala innumerevoli gruppetti di dialogo, entusiasti e vivaci. Era stato il gruppo di coordinamento svizzero, composto da rappresentanti di 10 Movimenti e Comunità diverse, a progettare e preparare insieme questo appuntamento.

La giornata ha visto contributi molto vari: quattro brevi interventi (diversi approcci alla vita ed all’opera di Nicola da Flüe), un coro formato per l’occasione, le interpretazioni della preghiera di “fratello” Nicola da parte di un gruppo teatrale ed una tavola rotonda molto partecipata e profonda.

Il Pastore Geri Keller e Roland Gröbli come esperti di Nicola da Flüe, Padre Raffael Rieger di Schönstatt, come rappresentante del gruppo di coordinamento svizzero, ed Alisha Furer, storica ed in rappresentanza dei giovani, hanno animato la tavola rotonda, durata un’ora.  Selomie Zürcher della Comunità “Jahu” di Bienna, studentessa di storia, è stata la moderatrice di questo momento di dialogo. Attraverso citazioni di fratel  Nicola, i partecipanti sono stati invitati ad esprimere le proprie esperienze ed anche i propri limiti: “Cosa mi impedisce di andare incontro a persone di altre confessioni e religioni? Cosa mi può aiutare? Quali esperienza di un vissuto “insieme” posso testimoniare? Questi spunti hanno presentato la sfida di abbattere pregiudizi e tentare il prima passo, anche nella convivenza quotidiana come per esempio “durante un tragitto in un mezzo pubblico”.

Il fascino di fratel Nicola è dovuto anche alle sue innumerevoli sfaccettature: Nicola il mistico, il mediatore, il contadino, il politico, lo sposo, il padre e la guida. In parole semplici: l’uomo Nicola, il fratello Nicola è vicino agli uomini. Ed è molto vicino anche a Dio.

Diversi partecipanti, attratti in primo luogo dall’interesse per Nicola da Flüe, hanno espresso il loro entusiasmo per aver conosciuto la rete di Insieme per l’Europa. Qualcuno così si è espresso: “Grazie per il vostro impegno per un INSIEME in Europa! Da oggi ne faccio parte anch’io!”

di Elisabeth Reusser  (traduzione dal tedesco: Marco Würgler)

Ulteriori informazioni e documenti sull’incontro sono pubblicate sul sito svizzero di Insieme per l’Europawww.miteinander-wie-sonst.ch/aktuelles

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I Balcani visti da un “napoletano”

I Balcani visti da un “napoletano”

Raccontare più di dieci anni tra Slovenia, Croazia e Romania non è facile.

Posso dire che mi sono trovato subito bene. L’impatto iniziale con la Slovenia è stato impegnativo, perché quel popolo era completamente diverso dal mio. Non conoscevo la lingua, il clima era molto freddo, era caratteristico l’odore del carbone che bruciava nelle stufe delle case. Mi hanno colpito subito un senso di ordine e disciplina. Ricordo che una sera con un amico della comunità c’eravamo fermati davanti ad un chiosco per comprare della frutta. Lui si era messo in fila, mentre io mi ero spostato di lato. Ad un certo punto mi accorgo che dietro di me si era formata una fila… Mi sono presto accorto che lo stesso avveniva anche quando si doveva salire sugli autobus. Questo mi ha impressionato molto favorevolmente.

Dopo 5 mesi mi sono spostato in Croazia. Un senso di libertà: ormai iscritto all’Università per imparare la lingua, potevo incontrare persone, girare per la città e tante altre cose, prima impossibili. Nei croati ho scoperto un popolo molto vicino al mio: solare, cordiale, accogliente e amante della buona tavola.

La caduta del Muro

Questa è stata un’esperienza indimenticabile, vissuta momento per momento con i miei amici e tanti altri, davanti alla televisione: stavamo assistendo al mondo che cambiava!

La guerra

La guerra nei Balcani è stata tra le esperienze più forti: una sensazione un po’ strana, perché a Zagabria, dove vivevo, non eravamo direttamente coinvolti nel conflitto. Solo nel corso dei primi giorni ho vissuto momenti di terrore per i colpi dei cecchini che sparavano da ogni lato, a caso, sulla popolazione. Nonostante ciò, quello che più mi rimane di quegli anni di guerra non sono state le città o i paesi distrutti, ma la solidarietà che si è creata tra le persone. Assistere all’arrivo di camion pieni di cibo, di capi di vestiario, etc. è stato commovente. Ed io stesso a Napoli, visto che erano morti i miei genitori, ho letteralmente svuotato con alcuni giovani l’appartamento di famiglia e trasportato l’intero carico in Croazia.

Ricordo ancora che nel 1993, nel bel mezzo della guerra, riuscimmo ad organizzare un festival di giovani, circa 3.000: cattolici, ortodossi, musulmani, provenienti da Jugoslavia, Romania, Bulgaria e Moldavia. Molto emozionante fu proprio un canto eseguito da un coro di giovani musulmani! L’evento venne ripreso da radio e televisioni: il giorno dopo la notizia campeggiava in prima pagina su tutti i giornali della capitale.

La Dacia (Romania)

In questo Paese ho sperimentato quello che vuol dire passare da una situazione di quasi benessere ad una di indigenza. Il comunismo – questa, la sensazione – era riuscito a distruggere tutta la storia culturale, civile e popolare di quella Nazione. Per me fu uno shock! Con un giovane che conoscevo di vista, e che mi aveva chiesto dei soldi: in quel momento non ho potuto aiutarlo, perché non avevo con me la cifra che mi chiedeva. Poi la domanda a me stesso: Perché ha chiesto proprio a me? E la risposta: Perché lui sa che sono italiano e immagina che in qualsiasi momento io posso tornare da dove sono venuto. La vera povertà è la sensazione di non avere proprio niente e di non avere dietro le spalle chi “ti può aiutare”.

Anche in Romania ho fatto l’esperienza della condivisione profonda, incontrando sorelle e fratelli che aspettavano qualche cosa che desse finalmente senso alla loro vita: l’Amore! E con tanti di essi, come prima in Slovenia e poi in Croazia, continuano ancora oggi rapporti di fraternità.

di Gennaro Lamagna (altro…)